
“In un prossimo futuro, il crimine è controllato da un’oppressiva forza di polizia meccanica, da androidi con cui nessuno può interferire. Quando però Chappie, uno di essi, viene rubato e riprogrammato, si assiste alla nascita del primo robot in grado di pensare e decidere autonomamente. In lui, alcune forze distruttive vedono un pericolo per l’intera umanità e per l’ordine sociale da distruggere prima che sia troppo tardi.”

Queste sono le premesse di Humandroid, opera nella quale con la consueta originalità il regista sudafricano intreccia attraverso vari strati molti temi cari alla fantascienza, quali la robotica, l’intelligenza artificiale, il mind uploading, senza trascurare gli aspetti umani e cosmologici. Il regista si concentra sul significato della coscienza: cosa sia, come si sviluppa, come possa trasmigrare; e lo fa analizzando le intelligenze artificiali con annesse le numerose controversie rappresentate dal villain Moore, che per quanto archetipico diventa il necessario portatore di un importante punto di vista opposto all’IA: il controllo delle macchine da parte dell’uomo. Blomkamp si interroga inoltre su cosa ci sia dietro la creazione, il donare la vita, e su cosa significhi crescere in un mondo cattivo nel quale è fin troppo facile essere educati al male e smarrirsi. Come un moderno Pinocchio, Chappie impara dure lezioni di vita da pessimi maestri e si ritrova abbandonato in un mondo feroce, costretto ad affrontare il dolore e la paura dietro ogni angolo.

Humandroid possiede un buon mix di azione e sentimento e, al ritmo di un Hans Zimmer su toni industrial/elettronici e dei brani bomba dei Die Antwoord, la profondità e caratterizzazione dei personaggi ci fa appassionare alla storia come fosse a tratti una favola moderna, nella quale il robot attraversa le principali fasi della crescita: infanzia, adolescenza ed età adulta. Grazie anche all’empatia con il personaggio, che richiama al già citato Numero 5 di Corto Circuito e al recente Wall-E, la pellicola diventa a tratti fantascienza sentimentale, più umana dell’umano oserei dire, o a dirla con le parole di del regista sudafricano:
“Molte persone oggi sostengono che l’intelligenza artificiale ci spazzerà via, ma io sono ottimista, non credo che questo avverrà” dice Neill Blomkamp in un’intervista “L’idea era di trovare qualcosa di inumano come un robot, in special modo un robot poliziotto, e dotarlo di caratteristiche umane, al punto di farlo diventare più emotivo degli stessi personaggi umani del film. Quello è il punto nevralgico dell’ironia del film: un droide poliziotto che diventa senziente e inizia a mostrare caratteristiche che sono più morali, etiche e coscienziose rispetto a quanto tendano a fare gli esseri umani”.
Certo il film poteva essere migliorato in diversi punti, togliendo qualche cliché di troppo, migliorando qualche dialogo e qualche leggerezza di sceneggiatura; non ci troviamo di fronte ad un capolavoro, ma con audacia Humandroid si distingue dalla massa. Come per tutte le opere del regista, è proprio il volere “osare” a rendere i suoi film più interessanti di tanti altri in circolazione, tirando fuori prospettive che favoriscono molteplici spunti di riflessione. A differenza di tanti altri baracconi fini a se stessi privi di un significativo messaggio da trasmettere, dopo due ore di intrattenimento Blomkamp spinge lo spettatore a interrogarsi sul messaggio nascosto e a porsi quesiti ai quali solo noi stessi possiamo rispondere.
Detto questo, non posso che augurare a tutti una buona visione, in attesa del finale alternativo in uscita con il DVD il 16 giugno.
Buona visione da Marc Welder