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MINISTRY Psalm 69 – 1992

Posted on 28/04/2016

Nati nel 1981, nel corso degli anni i Ministry hanno evoluto l’industrial attraverso l’unione del thrash metal con l’elettronica di inizi ’80 legata alle origini del frontman Al Jourgensen. Dopo l’esordio nel 1986 con “Twitch” -e aver disconosciuto il precedente album synth-pop/dance “With Sympathy”- e dopo il primo successo del 1988 con “The Land of Rape and Honey”, i Ministry trovano e affermano una loro propria sonorità, che unisce a synth e sample il massiccio uso di chitarre e di qualche ritmica EBM. L’anno successivo, nel 1989, esce “The Mind is a Terrible Thing to Taste”, che conferma il talento della band trattando temi impegnati quali la corruzione politica, l’ambientalismo, la tossicodipendenza e le malattie mentali; ma è nel 1992, a seguito di alcuni anni di collaborazioni, che la band torna in cattedra con quello che diventerà il loro miglior album di sempre e che sancirà definitivamente la nascita dell’allora emergente Industrial-Metal per come noi lo conosciamo. Stiamo parlando di Psalm 69, altrimenti conosciuto come“Psalm 69: The Way to Succeed and the Way to Suck Eggs”.

Dopo essersi chiuso nel suo ranch, trasformato in studio di registrazione per l’occasione, Jourgensen sforna così un album esplosivo che rilegge e piega all’industrial gli elementi anarco-punk e thrash metal i cui ritmi sono a dir poco frenetici, soprattutto nelle tracce iniziali; i synth subiscono la possanza delle chitarre di Jourgensen, di Louis Svitek e del neo acquisto (ed ora compianto) Mike Scaccia, che fanno delle tracce “N.W.O.”, “Psalm 69” e “Scarecrow” le più asintoticamente vicine al metal più tradizionale.
Le tematiche, invece, oltre a contenere gli ormai soliti riferimenti alla politica e ai classici del cinema horror e non solo, come già successo per “The Land Of Rape And Honey”, si fanno più esoteriche e mutuano ampiamente contenuti e campionamenti dal noto occultista Aleister Crowley. Il titolo stesso dell’album è infatti la fusione (in greco antico) del titolo di un capitolo del libro “The Book of Lies” (1912) dello stesso occultista, con l’aggiunta del numero 69. Proprio all’interno del capitolo in questione, Crowley usa l’espressione “The Way To Succeed And The Way To Suck Eggs”, che Jourgensen decide di richiamare per l’assonanza con la frase provocatoria “The way to suck seed and the way to suck eggs”, la cui allusività non pensiamo necessiti di alcun chiarimento. Ma veniamo a noi.

Così come fecero nel 1991 i Test Department nel loro singolo omonimo, la canzone “N.W.O.” riprende le teorie complottistiche degli Illuminati, utilizzando campionamenti del discorso che alla vigilia della Prima Guerra del Golfo il Presidente George H. Bush ha tenuto di fronte al Congresso americano dal titolo “Towards a New World Order” (Verso un Nuovo Ordine Mondiale), ma anche inserti del senatore Joseph McCarthy e campionamenti in loop dal film Apocalypse Now. Il tema principale è infatti la forte critica alla guerra ormai iniziata e fortemente voluta da Bush (padre) per assicurarsi risorse e basi in Medio Oriente. L’impatto sonoro è devastante, la compressione dei suoni è portata a livelli tecnologici di alto livello, il tutto ben cadenzato da una batteria sicuramente “suonata” ma palesemente controllata e “triggerata” in post-produzione; gli innesti “noise” tra una battuta e l’altra denotano una nuova visione del suono metal, quel profilo artistico musicale che prenderà forma nelle creazioni di svariate band del ventennio 1990-2010: benvenuti nel mondo dell’Industrial-Metal dunque, genere di cui i Ministry risultano pertanto dei chiari precursori. Inoltre “N.W.O.” è stata nominata per il Grammy Award come Migliore Performance Metal nel 1993, ma è stata sconfitta da “Wish” dei Nine Inch Nails pubblicata all’interno di “BROKEN” pochi mesi più tardi.

All’interno di “Just One Fix” degna di nota è la collaborazione con lo scrittore William S. Burroughs per una traccia che canta delle alterazioni di volontà e percezione attuate dalle crisi di astinenza dalle droghe pesanti. Lo scrittore ha provveduto personalmente alla cover del singolo ed è inoltre presente in un cameo all’interno del videoclip del brano diretto dallo stesso Peter Christopherson dei Throbbing Gristle, che per la cronaca ha diretto il video “BROKEN” per iNine Inch Nails e “Over the Shoulder” sempre per i Ministry. All’interno del brano sono degne di nota le clip da “Hellraiser” I e II, “The Trip”, “L’uomo dal braccio d’oro” e dal film di Roger Corman “Il serpente di fuoco”. Le pelli prevalentemente suonate “in battere” scandiscono con determinazione le misure musicali del brano in questione, la stesura del quale si avvale di voci filtrate all’eccesso ad ovvio scopo ossessivo; notevole e suggestivo verso il finale l’emergere tra i suoni di una chitarra che interpreta un famoso riff degli Slayer…

“T.V. II” è una forte critica alla televisione, inutile e menzognera, apocalittica e catastrofica che rincitrullisce la gente con parole inutili. Quando l’accendi senti dire che la terra smetterà di girare, che tutti quanti inizieremo a bruciare, ma è solo un modo per impressionare e incantare. Un intercalare di “frame” sonori sono solo l’introduzione ad una performance quasi “grind-core” in termini di velocità esecutiva del pezzo, ma soprattutto di vera e propria sporcizia del timbro sonoro: grandissimi Ministry.

Dato che Jourgensen non poteva evitare di tirare in mezzo anche i militari, ecco a voi “Hero”, brano interamente dedicato agli eroi e, non a caso, ricco di inserti dal cartone animato dei G.I. Joe. I soldati vengono cantati quali burattini pronti a diventare armi che uccidono a vista, “pupazzetti” chiamati a combattere per la propria nazione, per portare fantomatici diritti tra carne bruciata e terra sanguinolenta, trasformati in macchine per uccidere in nome della libertà. I poveri stolti, sono i martiri di battaglie che non hanno un vincitore se non lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, e che restituiscono solo elenchi di eroi morti da ricordare. Questo brano è uno dei passi all’interno dell’album in cui si può riscontrare un maggiore pulsare di vene rock, punk e metal allo stato puro, un brano quasi vergine di innesti industriali e sfumature di altro genere.

Con un indimenticabile “ding ding donga dong dong ding dong”, “Jesus Built My Hotrod” passa alla storia come uno dei brani che hanno reso noti i Ministry al grande pubblico, grazie soprattutto alla clip del brano (a tema automobilistico) uscita nel 1991 nel quale Gibby Haynes (Butthole Surfers) viene lanciato in una sfrenata corsa di macchine. Anche qui non mancano le campionature di lusso e le troviamo provenienti da “Blue Velvet” di Lynch e da “La saggezza nel sangue” di John Huston. Tra le più gettonate di MTV, “Jesus Built My Hotrod” è una vera e propria bomba o “hit” come si usa dire: il jingle vocale entra nella testa insieme alle chitarre e la percuotono durante tutti i circa cinque minuti di durata, durante la quale noi stressi per primi fatichiamo a star fermi; anche qui il suono acciaioso degli strumenti prevale sulla tecnologia e gli “assoli” frenetici delle sei corde, qua inseriti, confermano che si tratti di maledetto rock’n’roll seppur portato all’estremo del termine.

La blasfemia di Zio Al inizia a farsi sentire con “Scarecrow”, brano nel quale il crocefisso è paragonato allo spaventapasseri, un uomo isolato e crocefisso ormai solo simbolo della nostra moralità perduta, immagine della nostra disumanità in decomposizione, in un brano che risulta il più lungo dell’intero album: durante i suoi oltre 8 minuti di stesura i pesanti accordi di chitarra e la maestosa sezione ritmica sorreggono con caparbietà la performance del leader vocale, in veste rauca, sporca e maledettamente adeguata al contesto musicale del caso.

La titletrack “Psalm 69”, come già accennato nell’introduzione, richiama le teorie di Aleister Crowley in tutto il loro crudo esoterismo, partendo dall’apertura del “Salmo 69 del libro delle Rivelazioni” fino alle campionature provenienti da film quali il metafisico “Altered States”, l’adattamento di “The Pit and the Pendulum” di Gordon e il capolavoro diArgento, “Suspiria”. I primi due minuti ci tengono col fiato sospeso quando un riff molesto si scatena richiamando a sé tutta la band che si concede in una ottima prestazione che puzza di metallo e rock pesante lontano 1km. Gli innesti dei campioni vocali sono ben ponderati ed equalizzati in modo da ottenere un risultato sonoro ben plasmato tra voci e suoni.
“Corrosion” apre il finale strumentale dell’album. Voci mostruose si accavallano ad altre distorte e disperate, preludio di un’esplosione di note e volumi che ammetto, quasi mi spaventa; una composizione strumentale che dà completo sfogo alla voglia dei ragazzi statunitensi di dimostrare quanto si possa ottenere sposando strumenti classici e drum-macchines, quest’ultime impegnatissime sia nel simulare “patterns” di batteria sia nel creare caos e morboso disordine lungo il pentagramma.

Priva del cantato come la precedente, “Grace” è l’ultimo capitolo che prende vita in maniera a dir poco turbolenta, tra dissonanze di vario genere, suoni metallici da vera e propria carpenteria e voci che ci raccontano qualcosa in opposizione ad urla raccapriccianti altrui: un vero e proprio “cantiere” del senso dell’udito, che sul finale ci regala alcune misure di batteria digitale date in pasto a compressori e distorsori del segnale.

Preceduto da tre singoli uno migliore dell’altro (“Jesus Built My Hotrod”, “N.W.O.” e “Just One Fix”), non possiamo che inchinarci di fronte a un album che ha segnato la storia dell’Industrial-Metal e che, nonostante il genere particolare, sia stato in grado di vincere nel tempo un Disco di Platino, che non è cosa da tutti. Al & friends sono stati capaci con la loro potenza di influenzare gente come i Marilyn Manson, Sepultura (con l’album “Chaos A.D.” del 1993), Fudge Tunnel,  Fear Factory, Rob Zombie e gli stessi NIN con i quali condividono l’affermazione di questo nuovo genere grazie all’album Broken distribuito poco più di due mesi dopo. Tecnicamente eccelso se pensiamo che si parla di oltre 20 anni addietro, “Psalm 69” mantiene tutt’oggi radici nel passato ma ramificazioni verso il nostro presente, epoca in cui ormai si impongono come veri e propri generi musicali Techno, Drum’n’Bass, Dubstep e IDM (Intelligent Dance Music), profili musicali dove regna sovrano l’utilizzo delle macchine e dei synth, ma soprattutto settori musicali in cui si uniscono ambientazioni sonore oscure, tenebrose ed incalzanti allo stesso tempo, proprio come nell’Industrial-Metal.

1) N.W.O.
2) Just One Fix
3) T.V. II
4) Hero
5) Jesus Built My Hotrod
6) Scarecrow
7) Psalm 69
8) Corrosion
9) Grace

Buon ascolto da Marc Welder

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